Dissolvenza – 3a puntata

[continua da qui]

La sera dopo, al ’Round Midnight, c’eravamo tutti, compreso Matteo e il suo sax. Suonò in modo struggente e irriflessivo, sbavando le note e trascinandosele dietro come stelle filanti. Quando finì di suonare ci fece un cenno con la mano e si diresse verso uno dei tavolini accanto alla finestra dove era seduta una donna giovane, che avevamo visto qualche volta. Era  sola. Matteo mi sembrò le sorridesse, ma era troppo buio perché ne fossi sicuro. Io e gli altri ci scambiammo un’occhiata d’intesa. Era la prima volta che lo vedevamo rivolgere una parola a una ragazza. Lo guardammo sedersi al suo tavolo e parlare prima  con tranquillità,  poi in modo sempre più concitato. D’un tratto la ragazza si alzò. Sembrava furibonda. S’infilò una mano in tasca e lanciò qualcosa che Matteo afferrò prima che cadesse a terra. Allungò una mano verso la ragazza che ritrasse di colpo il braccio e si voltò. La vidi venire verso il nostro tavolo. Quando fu abbastanza vicina i suoi occhi m’inchiodarono. Parevano due grotte buie. Un posto in cui avrei voluto perdermi. Sfumò accanto al nostro tavolo e uscì.
Matteo era rimasto al tavolo. Nella mano stringeva ancora l’oggetto che la ragazza gli aveva lanciato.
Non sapevamo che fare. Non volevamo metterlo in imbarazzo con la nostra presenza, così ci alzammo e uscimmo. L’aria era gelida e impregnata dall’odore dei gas di scarico delle macchine che sfrecciavano lungo la via. Ci scambiammo poche parole e ci salutammo.
La settimana dopo la ragazza era seduta allo stesso tavolino. Matteo suonò tutta la sera senza guardarla nemmeno una volta. Mi accorsi, però, che il suo modo di suonare aveva qualcosa di sbagliato. Non capii subito perché, fino a che Simone disse quella frase.
Ma cos’ha Matteo? Sembra che sia rincorso da un lupo affamato. Suona come uno con il pepe al culo. Troppo veloce.
Ecco cos’era. Aveva fretta.
La ragazza si alzò mentre Matteo rincorreva le sue note. La vidi scarabocchiare qualcosa su un tovagliolo di carta che fermò con un bicchiere vuoto. Poi uscì dal locale. Mi venne automatico guardare Matteo mentre lei si allontanava, ma i suoi occhi restarono conficcati verso qualche punto davanti a sé.
Finito di suonare, però, si diresse con decisione verso il tavolino, afferrò il foglio, lo scorse e se lo indfilò in tasca.
Quando si avvicinò a noi gli osservai le mani. Da sempre ne ero affascinato perché sembravano non appartenergli, come vivessero di vita propria. Stava giocherellando con qualcosa. Dopo qualche secondo capii che era una chiave. Con la mente ritornai al mercoledì precedente, a quando la ragazza aveva gettato sul tavolo qualcosa che lui aveva afferrato al volo. Forse si trattava di quella chiave. Fui lì lì per chiederglielo, invece restai in silenzio.

[continua…]