Dissolvenza – 4a puntata

[continua da qui]

Il mercoledì successivo aspettammo invano di vederlo comparire per piazzarsi sul piccolo palco di fronte a noi. Ci guardammo attorno con aria perplessa. Ci sentivamo spersi. Osservai il locale come se lo vedessi per la prima volta. Era un posto buio e  squallido, con pochi tavolini e il bancone che correva lungo tutta una parete. Matteo non c’era, e nemmeno la ragazza della chiave.
Giunse il mercoledì dopo e quello dopo ancora. Di Matteo nessuna traccia. Non sapevamo né dove né da chi cercarlo. Provai ad andare all’unico indirizzo che conoscevo, quella vecchia casa di ringhiera in cui avevamo trascorso una notte a bere e ad ascoltare il silenzio.
La porta era aperta. Entrai chiamandolo, ma non rispose nessuno. Mi sembrò, se possibile, che l’appartamento fosse ancora più freddo. Gironzolai per le stanze spinto più dalla curiosità che dall’ansia, ero certo che non avrei trovato nessuno. Così fu.
La chiave la vidi quando stavo per uscire. Era posata su una logora  sedia di paglia. Era la stessa con cui aveva giocherellato Matteo l’ultima volta che lo avevo visto. Il tovagliolo di carta era a terra, appallottolato. Lo raccolsi e cominciai a stirarlo, riluttante a leggere le parole che intravedevo.
Alla fine mi decisi.

gettala come hai fatto con tutto il resto. M.

Arrivò l’ultimo dell’anno. Chiudere l’anno al ’Round Midnight era da sempre il nostro rito. E da sempre eravamo riusciti a coinvolgere anche mogli e fidanzate.
Quella sera avevo paura. Sapevo che niente e nessuno avrebbe impedito a Matteo di esserci. Sapevo che se non l’avessimo visto quella sera, non lo avremmo visto più.
Restai non so per quanto in bagno a guardare la mia faccia riflessa nello specchio. Giulia cominciò a chiamarmi, ma io avrei voluto restare lì. Sospendere quei minuti in un tempo infinito.
Stai bene? mi chiese Giulia quando fummo in macchina.
Sì, solo un po’ stanco.
Mi guardò senza dire niente.
Simone e gli altri erano già dentro quando arrivammo. Mi bastò guardarli in faccia per capire.

L’ho cercato ancora a ancora. Dappertutto.
Di lui non mi resta più niente, come se non fosse mai esistito.
Di tanto in tanto, nella musica suonata in qualche locale che ormai frequento di rado e solo in compagnia di mia moglie, mi sembra di cogliere, in una nota trascinata e spiazzante, il sax di Matteo. Poi, ogni volta, la nota si perde, e resta solo un brusio di sottofondo.