Scomparse di Filippo Fornari

Racconto di Filippo Fornari, ambientato ai tempi del Coronavirus.

     Enzino Marulli non si era mai preoccupato delle previsioni del tempo, anche se, per il suo lavoro di guardia giurata, passava buona parte delle giornate all’aperto, di fronte all’ingresso di una banca. Ora però, da quando era obbligato a rimanere chiuso in casa, seguiva attentamente l’evolversi delle perturbazioni e delle aree di alta pressione, in cerca di conferme che il cielo sarebbe stato limpido e la giornata soleggiata. Non che fosse un patito dell’abbronzatura, anzi, per quanto lo riguardava non gliene poteva importare di meno, ma il fatto è che lui conosceva un paio di natiche, e che natiche, alle quali la tintarella invece importava parecchio e che cercavano di capitalizzare ogni singolo raggio di sole che riuscisse a farsi strada, dal suo spicchio di cielo, tra gli alti palazzi di via Stromboli. E un cielo coperto, uno strato uniforme di cumulo-nembi, le faceva rintanare al chiuso per tutto il giorno.

     Sì, perché di fronte alla finestra del suo monolocale al terzo piano, che dava appunto su via Stromboli, c’era un balcone su cui qualcuno si sdraiava per abbronzarsi. Era adornato di gerani, di rose, di azalee e, soprattutto, di piante sempreverdi che facevano da barriera naturale agli sguardi curiosi dei dirimpettai; una barriera che però lasciava uno spiraglio di mezzo metro: in quel riquadro Enzino aveva seguito, come in una cornice di un’opera del Botticelli, il rifiorire di un sedere che, grazie al bel sole d’aprile, aveva ripreso colore, virando dal bianco latte al rosato, e ora stava assumendo un tono cannella chiaro. Uno spettacolo da risollevare lo spirito e pure qualcos’altro, anche se a Enzino, uomo di chiesa, osservante e praticante, provocava turbamenti e crisi di coscienza, perché avrebbe voluto ignorarlo ma non ci riusciva.

      E così si appostava dietro le tende per cercare di saperne di più, ma non era mai riuscito a cogliere nient’altro, a causa dei sempreverdi, che l’apparire di una chioma bionda e di un corpo notevolmente ricco di curve. Si era convinto che appartenesse alla signorina (o signora divorziata, o vedova inconsolabile, perché non gli risultava vivesse nessun altro nell’appartamento) che aveva visto uscire dal portone, col volto coperto da una mascherina azzurra che le nascondeva i lineamenti, per poi tornare carica di borse della Esselunga. Una bella figura slanciata, che camminava sciolta e sicura, con un movimento ondulatorio-sussultorio del lato B che catturava lo sguardo. Osservandole, aveva avuto la certezza che quelle sode rotondità fossero le medesime che si abbandonavano alla carezza del sole sul balcone di fronte.

      Ora però Enzino era preoccupato: da tre o quattro giorni, nonostante le belle giornate, il sedere non si era più visto, come pure non aveva più visto uscire, o rientrare, la sua bionda proprietaria. Inquietanti dubbi lo attanagliavano. Cosa le era successo? Forse era costretta a letto febbricitante in preda al coronavirus? Oppure si era trasferita e stava proseguendo il suo isolamento in un posto meno triste di Milano (o anche a Milano, ma in compagnia)? Più ci pensava, più i timori aumentavano: e se nell’appartamento si fosse introdotto un malintenzionato per rubare o per farle del male, un ladro o un ex marito\fidanzato, e l’avesse sequestrata e immobilizzata? E se invece fosse stata aggredita fuori casa, una sera che era uscita a fare spesa più tardi del solito e se ora giacesse riversa in un fossato (ma ci sono fossati a Milano?) o in un vicolo buio tra i bidoni dell’immondizia, o l’avessero scaraventata nei Navigli e il suo corpo fosse incastrato, fradicio e devastato, nella prima chiusa in direzione Pavia?

      Sì, doveva fare qualcosa, perlomeno segnalare la scomparsa al suo amico commissario Vittorio Musante per le opportune verifiche. Non aveva informazioni precise da fornirgli, solo l’indirizzo e il piano dell’abitazione, ma la Polizia interrogando portinaia e inquilini avrebbe potuto risalire alle sue generalità.

***

      Per Curzio Malanotte, chimico, partita IVA in attesa di tempi migliori, l’isolamento solitario era all’insegna di una frenetica attività sui social. Facebook, twitter, instagram, all’inizio aveva il suo bel da fare a stare dietro a tutto, poi non aveva retto il ritmo e ora si limitava a postare quotidianamente su fb le sue esternazioni. Ultimamente, poi, aveva avuto un’idea: data le incertezze sul futuro post virus, suo e dell’umanità in generale, perché non provare a immaginare come potesse essere il mondo una volta che la bufera covid-19 fosse passata, nell’ipotesi migliore e peggiore possibile? E così aveva iniziato a postare sulla sua pagina fb le Cronache del dopovirus, storielle del tipo:

Cronache del dopovirus

A – versione utopica; B – versione distopica

28 luglio 2020

Partenza per le vacanze

 A – “Cara, ho caricato tutti i bagagli, e aspetto solo voi per partire. Hai visto se i bambini sono pronti?”

“Sì, sì, ho controllato. Sono in ritardo perché stanno abbracciando gli amichetti dopo che nel giardino della Sami hanno bruciato tutte quelle orribili mascherine avanzate dall’emergenza. Peccato che te lo sei perso: hanno fatto un girotondo attorno al falò e hanno cantato ilcoccodrillocomefa, con il nonno che batteva il tempo con le mani. Ora arrivano: si devono rivestire, erano tutti in costume da bagno.”

“Certo che questi 10,000 euro a famiglia come contributo di solidarietà post virus che l’Europa ha stanziato per ogni famiglia italiana ci fanno comodo: ho prenotato una suite all’Excelsior Palace di Portofino, un paio di giorni di relax ce li meritiamo, dopo questi mesi terribili.”

“All’Excelsior? Spero che sia un hotel con almeno cinque stelle, se no i Rossi dicono che siamo dei micragnosi. Loro con il contributo della Merkel si sono fatti una settimana a Cala Volpe.”

 

B – “Cara, ho caricato le borse per la spesa, e aspetto solo voi per partire. Hai visto se i bambini sono pronti?”

“Poverini, sono un po’ in ritardo perché hanno ancora paura a uscire senza guanti e mascherine. Diamogli tempo, lo psicologo della Ausl dice che ci vorrà qualche mese perché si riabituino all’aria aperta. Stavano salutando su Skype i figli dei vicini, che anche loro non ce l’hanno ancora fatta a lasciare la cameretta.”

“Sì, va beh, ma diamoci una mossa. Un mio collega di cassa integrazione perpetua illimitata senza retribuzione mi ha detto che alla Coop sono arrivate le chiquita. Se ci spicciamo, magari ne è rimasta qualcuna. Avrei proprio voglia di una banana, dopo questi mesi terribili. E se la coda alla Coop non è troppo lunga, poi possiamo fare un salto alla Esselunga: pare che lì le patate e le cipolle ci siano tutti i giorni.”

“Fosse vero! Però prima portiamo un fiore al nonno. C’era ancora una rosa, nel vaso sul balcone.”


      Dopo che ne aveva pubblicate due o tre, una certa Susy Belladonna, un contatto che ai primi post aveva messo semplicemente un mi piace, aveva cominciato a scrivere commenti più diretti e personali, del tipo:

      “Questa mi è piaciuta molto. Si capisce che sei un animo sensibile” oppure “Mi hai fatto morire dal ridere con la versione A, poi con la B mi sono intristita. Ti sono grata dei bei momenti che mi doni.”

      Un po’ enfatica, forse, ma dando un’occhiata al suo profilo (capelli corvini, viso dolce, belle labbra, neri occhi ammiccanti) Curzio aveva visto che era un contatto che valeva la pena approfondire e si era messo a rispondere a tono. Così erano passati a conversare su messanger, lontano da occhi indiscreti, e le chat erano diventate più personali, e Susy gli aveva rivelato le sue pene. Per farla breve, era costretta a una convivenza forzata con un compagno che aveva intenzione di lasciare, ma con il quale ora si trovava obbligata a condividere il poco spazio di un bilocale, camera da letto compresa. O meglio, letto sottosopra compreso, perché pareva che il suddetto individuo la sottoponesse a sfrenate pratiche sessuali: “Sapessi cosa mi spinge a fare! Si direbbe che stiamo ripassando il kamasutra dalla prima all’ultima pagina!!!”, con tre esclamativi e una faccina che si teneva il viso tra le mani.

      Il suo ultimo messaggio era stato: “Curzio, non so proprio come andrà a finire questa storia.” E poi più nulla, per tre giorni, nonostante lui le avesse scritto ripetutamente “Susy, tutto bene? Fammi sapere, che mi preoccupo.”

      E in effetti preoccupato lo era: la coabitazione forzata aveva portato a un aumento dei casi di violenza domestica, e molte poverette erano in balia di compagni maneschi, senza possibilità di sottrarsi se non rivolgendosi alle forze dell’ordine. E a volte non bastava: proprio il giorno prima aveva letto dell’omicidio di una donna che aveva più volte denunciato, inutilmente, i maltrattamenti a cui era sottoposta.

     Doveva fare qualcosa, quantomeno segnalare la faccenda al suo amico commissario Vittorio Musante perché intervenisse al più presto. Non aveva informazioni precise da fornirgli, oltre al nome, se Susy Belladonna non era solo un nickname, e la città di residenza, Milano, ma la Polizia dal profilo fb avrebbe potuto risalire alle sue generalità.

***

      Umberto Rossi, ferroviere in pensione, sapeva di essere fortunato, in confronto ai suoi amici Curzio ed Enzino. Almeno lui le restrizioni le divideva con la moglie Arlyne, sposata di recente dopo una vita da lupo solitario, su e giù per l’Italia a condurre Pendolini e Frecce Rosse. Era contento del matrimonio, pur se talvolta i pensieri tornavano ai trascorsi non proprio da educanda della moglie, e sulla sua fedeltà avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco, anche se i trent’anni di differenza d’età talvolta si facevano sentire.

      Sì, la mano sul fuoco… fino a qualche settimana prima, all’inizio delle misure restrittive in Lombardia. Perché in quei giorni Arlyne, che, cassiera alla Esselunga di via Washington, continuava a recarsi regolarmente al lavoro, aveva iniziato a parlargli del nuovo collega del magazzino. Un ragazzo nigeriano suo connazionale, anzi, addirittura della sua stessa città, Lagos, che era appena stato assunto ed era ancora un po’ spaesato a Milano dopo il suo peregrinare in vari centri di accoglienza per migranti. Thomas, così si chiamava, avrebbe avuto bisogno che qualcuno l’aiutasse a ambientarsi, anche se lo sport poteva rappresentare una soluzione, visto che prima del coronavirus varie squadre di Lega Pro l’avevano contattato e chiamato per dei provini. Poi si era tutto fermato, ma lui sentiva che il suo sogno di diventare un calciatore professionista in Italia avrebbe potuto avverarsi. E così ‘sto ragazzo era diventato il primo argomento di conversazione a cena: Thomas che le raccontava le barzellette in voga a Lagos, Thomas che amava la sua stessa musica, Thomas che, poverino, si era schiacciato una mano sul lavoro ed era in mutua per tre giorni, e via così. Thomas qui e Thomas là, Umberto non ne poteva più, ma non sapeva come dirlo alla moglie, la quale, Thomas a parte, peraltro ultimamente pareva diventata un’altra. Nervosa e irritabile come non era mai stata, lei così solare e pronta alle risate, cucinava e stirava di malavoglia, per non parlare delle pulizie domestiche, che tendeva a scaricare su Umberto: “E fai qualcosa, anziché ciondolare per casa tutto il giorno!” Di notte si rigirava nel letto e se lui si accostava lo allontanava con una gomitata o un calcio. Di fare all’amore non se ne parlava, e questo non era normale, significava che proprio non andava, perché lei si era sempre dimostrata piena di passione e di fantasia.

      Umberto non aveva dubbi: il problema era Thomas, e doveva fare qualcosa, per salvare il suo matrimonio e Arlyne stessa, che già in passato era stata in balia della mafia nigeriana. Ora che frequentava questo tizio il rischio stava tornando. Infatti, che si sapeva di lui? Che legami aveva con gli altri nigeriani di Milano, che magari obbligavano le connazionali a battere, e le ricattavano, dopo averle fatte venire clandestinamente in Italia? E la droga? Nei posti di Milano dove si spacciava erano in prima fila.

      E poi, sicuri che ‘sto Thomas del cazzo fosse in regola? Alla Esselunga avevano verificato che avesse i documenti a posto prima di assumerlo? Ma siamo sicuri che fosse stato assunto? Lui, Umberto, quando andava a fare spesa al super dove lavorava la moglie un commesso di colore tra gli scaffali non l’aveva mai visto.

     Sì, doveva fare qualcosa, perlomeno segnalare il nominativo al suo amico commissario Vittorio Musante per le opportune verifiche. Non aveva informazioni precise da fornirgli, il nome ma non il cognome, ma la Polizia, contattando la direzione della Esselunga, avrebbe potuto risalire alle sue generalità.

***

      Certi giorni, il commissario Musante desiderava essere pure lui in quarantena anziché regolarmente in Questura in via Fatebenefratelli o su una volante della Polizia. Perché le vie di Milano erano sì deserte e le persone chiuse in casa, ma il crimine non si prendeva pause e lui era sempre oberato di lavoro. In più, c’era chi contribuiva a fargli perdere del tempo prezioso che avrebbe volentieri dedicato ai casi seri, quelli da articoli sui giornali ed elogio dei superiori.

      E questo era stato appunto il giorno dei rompiballe, anche se i tre che gli avevano telefonato per segnalare situazioni meritevoli delle attenzioni della Polizia e sue in particolare erano suoi amici, con cui prima delle restrizioni si trovava spesso a cena e a giocare a carte, ai quali era legato anche se avevano il vizio di considerarsi paladini della giustizia e di mettere il naso nelle sue indagini, facendolo incazzare di brutto.

      Comunque nelle loro storie c’era un lato buffo, e per questo non vedeva l’ora di raccontarle, a modo suo, alla moglie Rosaria, donna dotata di una notevole dose di umorismo.

      E così, a cena…

     “Oggi tre cittadini volenterosi mi hanno segnalato dei casi interessanti…”

     “Vitto’, rilassati, almeno a casa. Cosa vuoi che m’importi dei tuoi omicidi, rapine e violenze. Mi bastano il martellamento quotidiano dei tigì sul numero di contagiati e di morti, e le interviste agli scienziati, uno più spocchioso dell’altro. La sera, vorrei cenare in pace e guardare un bel film in televisione.”

     “Sì, ma i cittadini sono i miei amici Curzio, Enzino e Umberto… non so se ‘sti tre si sono messi d’accordo per prendermi per il culo o se stanno uscendo fuori di testa per l’isolamento prolungato.”

     Rosaria aveva drizzato le orecchie, quando Vittorio raccontava degli amici finiva in genere che si facevano quattro risate. “Visto che non stai nella pelle, racconta.”

     “Ho già aperto i fascicoli d’inchiesta, anche se credo che aspetterò almeno un paio di giorni prima di coinvolgere il dr. Mazzetta, il PM… Fascicoli che potrei tutti e tre intitolare: segnalazione di scomparsa.”

     “Oddio! Chi è scomparso?”

     “Allora, caso numero uno, la segnalazione di Enzino: scomparsa di un culo.”  Pausa sapiente.” Caso numero due, Curzio: scomparsa di una casalinga irrequieta.” Altra pausa, Vittorio la tirava per le lunghe apposta. “Caso numero tre, Umberto: scomparsa della libidine. Sì, proprio così, Umberto mi segnala la scomparsa del desiderio sessuale nel suo matrimonio.”

     “Questa di Umberto non mi fa ridere, mi ricorda un altro matrimonio… ma di’ la verità: ti sei inventato tutto per vedere la faccia che avrei fatto?”

       “No, no, ti assicuro che non mi sono inventato nulla.”

      “E allora, se non è coperto da segreto istruttorio, ah ah, racconta.”

       E Vittorio aveva spiegato: Enzino era preoccupato perché non vedeva da tre giorni una signorina, o meglio il suo posteriore che si crogiolava nudo al sole sul balcone dirimpetto al suo; Curzio perché aveva visto interrompersi di colpo il suo flirt online con una signora costretta a una convivenza forzata con un lui molto esigente, anche se il plurale usato in una frase che gli aveva scritto-che Curzio gli aveva riportato tal quale: “Sembra che stiamo ripassando il kamasutra dalla prima all’ultima pagina!!!” poteva far sospettare un certo compiaciuto coinvolgimento della medesima nelle suddette pratiche indiane. Quanto a Umberto, pareva che la caduta di desiderio fosse dovuta a un baldo collega e conterraneo di Arlyne, sulla cui permanenza probabilmente irregolare in Italia occorreva indagare, visto la presenza così diffusa a Milano della mala nigeriana.

     “E tu, ce l’hai l’intenzione di indagare?”

      “Per ora non mi sembra sia necessario. E poi, chi se ne incarica? I miei uomini sono tutti strapresi, e già fanno gli straordinari, e io non ho certo il tempo per occuparmene personalmente. Conoscendo i tre soggetti, sta pur sicura che non se ne staranno con le mani in mano, ma indagheranno in proprio, e se ci saranno sviluppi seri mi avvertiranno.”

     E infatti…

***

      Enzino la sua indagine l’aveva iniziata acquistando al supermercato un rossetto di marca di un bel colore rosso mattone. Diciotto euro di investimento, ma era sicuro che ne valesse la pena, perché aveva avuto una grande idea, da mettere subito in pratica. Così, rientrando, si era fermato di fronte al portone di via Stromboli dirimpetto a casa sua e aveva suonato alla portineria.

      Dalla finestra del piano rialzato si era affacciata una signora, debitamente bardata, che gli aveva rivolto uno sguardo pieno di diffidenza e sospetto.

      “Mi scusi se la disturbo” aveva biascicato imbarazzato da dietro la mascherina, tenendosi a due metri di distanza, “volevo lasciarle questo rossetto da consegnare a una signorina che abita qui. Non so come si chiama, è alta, bionda e sui trent’anni.”

     “Qui non abita nessuna signorina così.” Anche il tono di voce era diffidente e sospettoso, “e lei, che cosa vuole? A quest’ora di solito i corrieri non fanno consegne.”

      “No, no, non sono un corriere. Abito qui di fronte. L’altro giorno ho incrociato la signorina che stava uscendo. Non si è accorta che prendendo il cellulare dalla borsetta le è caduto questo. Io me ne sono reso conto dopo, lei era già lontana. Ecco, volevo renderglielo, ma non la vedo da qualche giorno, forse si è ammalata o trasferita.” E aveva fatto un passo in avanti, allungando un braccio e tendendole il rossetto (privo di confezione, beninteso, mica era un pirla, aveva studiato bene la cosa). 

      La signora non pareva convinta. “Mah, se lo dice lei. Comunque qui nessuno si è ammalato, e nemmeno si è trasferito. E non ho ancora capito di che signorina si tratta.”

     “Glielo ho detto, quella alta e bionda, bel personale. Di solito è vestita con un giubbetto jeans e pantaloni molto attillati.” Cos’era, un lampo di comprensione quello che le aveva scorto negli occhi? C’era stato un momento di evidente indecisione, poi:

      “Su, dia qui. Se uno degli inquilini dovesse cercarlo glielo darò. Buongiorno.” E si era ritirata come una tartaruga nel suo guscio, chiudendogli la finestra in faccia.

      Enzino era rimasto lì come un ciula, poi aveva fatto dietrofront e aveva infilato il portone di casa. Un fallimento… anzi, un mezzo fallimento. Non aveva raccolta nessuna informazione utile all’ identificazione, ma almeno ora sapeva che nel palazzo non c’erano stati fatti di sangue, né contagi o traslochi. Meno male. In attesa che il suo amico Musante si facesse vivo con un qualche aggiornamento sulle indagini della Polizia, poteva tornare di vedetta e sperare di rivedere quelle magnifiche rotondità.

***

     Curzio aveva telefonato alla Polizia Postale, quella incaricata dei crimini legati al web, ma non era stato preso sul serio, e nemmeno l’avevano aiutato a scoprire se Susy Belladonna era un nome reale o fittizio. Aveva fatto indagini sui motori di ricerca, senza trovarne traccia. Pareva non esistesse da nessuna parte, escluso facebook.

     Era tornato a postare le sue Cronache del dopovirus, ma per altri due giorni Susy non si era fatta viva, e lui cominciava a disperare che l’avrebbe più risentita. Invece, finalmente, ecco un suo mi piace.

      Curzio aveva mandato subito un messaggino, visto che lei era on line: “Ciao, che piacere risentirti. Che fine avevi fatto?” al quale Susy aveva risposto in due secondi: “Per qualche giorno sono stata via da fb” “Allora tutto a posto? Pensavo avessi qualche problema.” “No, no, tutto OK. Sono stata molto “occupata.” Occupata scritto tra virgolette e seguito da due faccine, una che rideva e l’altra che faceva l’occhiolino. Curzio non sapeva come proseguire, aveva provveduto Susy a prendere l’iniziativa: “Se ti va, uno di questi giorni ci possiamo vedere.” Un tuffo al cuore: “Volentieri, ma come si fa? Io devo stare in casa, salvo autocertificazione per i soliti motivi.” “Ecco, appunto. Vicino a casa mia c’è una Esselunga, quella di via Washington. Se non abiti dall’altra parte di Milano, perché non vieni a fare la spesa qui? Tanto, chi ti controlla?” “Non è lontana, e poi, come faccio a dirti di no?” E via con le varie faccine birichine. “Allora puoi passare a casa mia, magari domani pomeriggio dopo le quattro?” “Va bene. Dove abiti?” Lei gli aveva dato un indirizzo, salutandolo con l’emoji del bacio. 

      Curzio avrebbe fatto i salti di gioia, se fosse stato un adolescente, ma si era contenuto, anche perché era stato colpito da un pensiero, un po’ tardivo in verità: e il compagno? Dov’era finito il mandrillo che le zompava sopra ogni momento? Non è che l’indomani, mentre si intratteneva con Susy nella posizione del missionario, se lo ritrovava dietro pronto a prendere posizione? E se appena varcato l’ingresso gli fosse balzato addosso allungandogli un sacco di mazzate?

      Doveva tenersi i suoi timori: che figura da cagasotto avrebbe fatto, se avesse mostrato di essere preoccupato per quell’altro?

***

      Umberto aveva seguito Arlyne quando era uscita per andare al lavoro, mantenendosi a distanza perché lei non potesse riconoscere l’auto. L’aveva vista fermarsi a un indirizzo che conosceva bene, quello dell’ambulatorio del suo medico curante dove l’aveva accompagnata varie volte. Ne era uscita dieci minuti dopo: aveva l’aria turbata, o era solo un’impressione di Umberto, che era posteggiato troppo lontano per poterlo affermare con sicurezza? Che c’era andata a fare? Per farsi prescrivere la pillola anticoncezionale, come aveva fatto in passato? Ma a che le serviva, se loro non avevano più rapporti? O meglio, loro due non avevano rapporti, ma per quanto riguardava lei?

      Arlyne si era poi diretta verso l’Esselunga, dove aveva parcheggiato sul retro negli spazi riservati ai dipendenti, ed era entrata nell’edificio dall’ingresso merci… non prima di aver dato il cinque a un ragazzo di colore alto e atletico, non esattamente lo stesso fisico di Umberto, che poteva vantare solo una certa somiglianza con Bruce Willis per via della pelata. Gli aveva detto qualcosa con un’emozione evidente anche a distanza, lui l’aveva abbracciata stretta.

     Umberto aveva visto abbastanza: in serata l’avrebbe obbligata a mettere le carte in tavola.

     Sconsolato, era ritornato a casa. Non gli restava che sperare che l’indagine di Musante lo liberasse del problema, rispedendo Thomas in Nigeria o mandandolo in prigione.

      Come se non bastasse il momentaccio, l’aveva fermato un’auto della polizia: sì, c’era l’autocertificazione per la spesa, ma dov’erano le borse con gli acquisti? Doveva ancora farla? Qual era il supermercato dove andava di solito? L’Esselunga di via Washington? Okay, ma lui veniva dalla direzione contraria: era evidente che stava gironzolando per la città, mettendo a rischio la salute di tutti i milanesi. Poche balle, 400 euro di multa e via andare.

***

      Enzino, vista la splendida giornata, si era armato di speranza e di un binocolo recuperato in cantina e alle dieci si era messo dietro a una tenda in osservazione, come il tenente Drogo nel Deserto dei tartari. Per un paio d’ore niente da segnalare, purtroppo. Poi, gli era scappato l’occhio sul balcone di fianco a quello dirimpetto, sul quale si intravedeva una certa attività oltre le piante e i fiori che lo abbellivano. Sì, un tizio sulla quarantina, fisico modellato dalla palestra, si aggirava nudo come se niente fosse. Un altro amante della tintarella. E che cavolo, un po’ di pudore! Enzino aveva distolto gli occhi, ed era tornato a concentrarsi sul suo balcone. Ancora niente.

      Invece, su quello di fianco il movimento si intensificava: era comparsa un’altra persona… cavolo! Una ragazza! Indossava un mini costume, che copriva il minimo. Capelli biondi, alta, seno perfetto. Porca miseria! Sembrava lei. Aveva scambiato un rapido bacio col tizio nudo e poi si era sdraiata su un telo da spiaggia, mettendosi a pancia in giù. Il costume era volata via. Come sbagliarsi? Le natiche erano proprio quelle: rotondità, pienezza, abbronzatura tonalità cannella, tutto corrispondeva, Enzino poteva riconoscerle tra mille. Ecco perché non c’era più sul suo balcone. Si era trasferita su quell’altro, in buona compagnia. Mannaggia! Minchia! Minchia e mannaggia! Enzino aveva provato una fitta di gelosia. Non che contasse di combinarci qualcosa, lui era troppo poco intraprendente con le donne, ma almeno aveva un sogno da coltivare. E invece così si poteva mettere il cuore in pace. Prima di abbandonare la postazione, aveva dato un’ultima fuggevole occhiata a quel bellissimo sedere. Un saluto, o meglio, un addio definitivo.

      Quasi intendesse rispondere al commiato, la ragazza si stava girando sulla schiena: un attimo, la fuggevole visione di un pendaglio… Enzino aveva strabuzzato gli occhi… ora si era girata del tutto… non c’erano più dubbi, quello che era apparso era un accessorio tipicamente maschile, di dimensioni ragguardevoli, oltretutto!

       De gustibus, aveva alzato le spalle un Enzino già più sereno. Non aveva mai studiato latino a scuola, ma sul significato di quella espressione non aveva alcun dubbio.

***

      Curzio, posteggiata l’auto, presa la scatola dei cioccolatini dal sedile posteriore e verificato che non ci fossero forze dell’ordine nei dintorni, si era avvicinato con fare spavaldo al portone indicatogli e aveva schiacciato il pulsante del citofono con la scritta “Susy”. Sull’ascensore che lo portava al quarto piano aveva già perso parte della spavalderia. A quel poco che gliene era rimasto si era aggrappato mentre suonava il campanello.

      “Curzio, eccoti qui!” Susy aveva fatto un passo indietro e l’aveva squadrato. “Mmmh, sei ancora un bell’uomo. Pensavo peggio, dalle foto su facebook.”

      Si era messa comoda, indossava una vestaglia semitrasparente aperta sul seno prosperoso. I capelli folti e corvini erano quelli della foto del profilo, quando al resto, meglio lasciar perdere: almeno dieci anni in più del dichiarato.

      “Ciao Susy, che piacere conoscerti di persona! Sei esattamente come mi aspettavo… una gran bella donna, ah ah.”

      “Entra, entra! Non stare impalato sulla porta.”

       Curzio esitava. Prima di fare il passo fatidico oltre la soglia si era guardato intorno sospettoso.

      “Ma… sei sola?”

       “Certo!”

       “Ma… il tuo compagno non c’è?”

       La risata era schietta e franca: “Ma quale compagno! Vivo sola, me lo sono inventato perché in questo modo acchiappo sempre: il maschio italiano ama atteggiarsi a paladino delle fanciulle indifese, tranne poi farsela addosso quando si tratta di intervenire. E tu, che fai?” Aveva puntato quei suoi intensi occhi neri in quelli di Curzio: “Entri o te la squagli? Per mettere le cose in chiaro: sono 100 euro per il servizio standard, se ti interessa un extra sono altri 50 euro.”

      Curzio le tese la scatola di cioccolatini: “Tieni, un omaggio sincero. E non ti chiederò neanche lo sconto.”

***

      Appena rientrata a casa, Arlyne aveva abbracciato stretto stretto Umberto e gli aveva stampato in bocca un bacio profondo e prolungato che l’aveva tramortito. E poi aveva sorriso, e riso e pianto insieme, e ora singhiozzava senza riuscire a spiaccicare una parola. Lui se ne stava in piedi imbambolato, con la rabbia accumulata nel corso della giornata che si squagliava come neve al sole, muto e boccheggiante come i cavedani che prima delle restrizioni andava a pescare in Trebbia.

      Aveva ripetuto due o tre volte “cosa?” cosa?” prima di capire, quando lei finalmente era riuscita a sillabare: “Sono incinta!”

      Si era seduto per paura che le gambe gli cedessero, e ora stava cercando di connettere, mentre Arlyne continuava: “Oggi ho avuto la conferma dalle analisi, dopo tre settimane di ritardo e un risultato incerto con il test in farmacia. Aspetto un bambino. Non ti ho telefonato per non rovinare l’effetto sorpresa.”

      Umberto si era messo una mano in tasca per cercare il pacchetto di sigarette, anche se erano almeno dieci anni che non fumava.

       Arlyne aveva ritrovato la parola, e non si fermava più: “Alla Esselunga lo sa solo Thomas. É felice per noi. Ha detto che per lui il bambino sarà come un fratellino. Ma io spero sia una bambina, e bisognerà prepararle la cameretta, comperare la culla e anche un lettino e un seggiolone e i pensili nuovi all’Ikea e imbiancare… così sarai impegnato, che sono settimane che te ne stai mogio mogio a ciondolare senza fare un tubo.”