Volata lunga – 4a puntata

(continua da qui)

25 dicembre
Ho dormito fino a tardi, ho fatto il bagno, mi sono concesso una colazione sontuosa, ho telefonato a Napoli (la mamma sembrava di ottimo umore, la zia era abbastanza allegra e lo zio si è lamentato meno del solito del suo stato di salute) e ho ricevuto la prevista telefonata di ringraziamento per il maglione e la giacca a vento. Ho parlato solo con Anna, perché Giancarlo, Serena e i gemelli erano già andati a sciare. Poi mi sono messo a leggere. Era una sensazione strana, quella di starmene in casa da solo in un giorno di festa, in una città così silenziosa, senza nessun impegno, nessuno a cui rivolgermi, salvo la bionda, per la quale era un po’ presto (avevamo parlato, genericamente, di vederci “verso sera”). Ma era precisamente quello che avevo voluto. Alla televisione davano il discorso del papa, cartoni animati vari e un vecchio film con un prete che a sprezzo dell’indifferenza altrui riesce a realizzare qualche obiettivo lodevole e utile alla comunità; alla radio trasmettevano carole o dialogavano telefonicamente con le ascoltatrici sul menù natalizio che stavano preparando. Ho provato ad ascoltare il cd di mia nipote, ma devo dire che non ci ho capito un gran che. Che razza di musica ascoltano questi ragazzi.
Verso l’una ho deciso di uscire a fare due passi. Non c’era nessuno in giro: evidentemente erano già tutti riuniti a scambiarsi auguri e regali e ad aspettare l’ora di mettersi a tavola. Le poche persone in vista camminavano in fretta, con l’aria di dirigersi in qualche posto preciso, o scaricavano dalle macchine montagne di pacchi e si affrettavano a suonare il citofono di qualche casa. Invitati in ritardo. Di automobili ne passavano pochissime. Mi sono sentito un po’ solo. Ho deciso di fare una lunga camminata fino al parco. In tutto il percorso non avrò incontrato più di quattro persone, compresi un barbone e un marocchino che mi ha fatto gli auguri. Glieli ho ricambiati.
Sono rientrato che imbruniva, anche se era ancora presto per andare dalla bionda. Ho bevuto qualcosa e ho cercato di leggere ancora per una mezz’oretta. Ma ero inquieto e vagamente depresso. Mi è venuto in mente che se fossi morto nessuno se ne sarebbe accorto fin dopo l’Epifania. Era un pensiero morboso e l’ho scacciato subito. Ho deciso che ero nervoso per via del mio appuntamento. Comunque sono riuscito a far passare il tempo fino alle sei e mezzo. Poi mi sono cambiato, mi sono infilato un paio di jeans e una camicia scozzese (non quella della mamma, una vecchia), sono sceso al piano di sotto e ho suonato alla porta della bionda. Lei mi è venuta ad aprire e mi ha salutato con un sorriso. Aveva un bicchiere in mano. L’ho guardata e ho visto una ragazzetta vistosa, con i capelli tinti e un’espressione falsa sul volto. Mi sono detto che era per stare che lei che avevo passato il Natale solo come un cane, lontano dalla mia mamma, da mia sorella e dai miei nipotini. Le sono saltato addosso e l’ho presa per il collo.

Per fortuna che in quel momento stavano scendendo le scale il figlio e il genero del commendator Lanfranconi, che portavano il cane a fare un giretto. Sono intervenuti con prontezza e me l’hanno tolta dalle mani, impedendomi di strozzarla per davvero, che sarebbe stato un bel guaio per tutti.
Però non c’era davvero bisogno di chiamare la polizia. D’accordo che volevo passare il Natale da solo, ma adesso, con la storia dei giudici e degli avvocati che sono via per le feste, mi sa che in cella d’isolamento ci resterò fin dopo Capodanno.

Buon Natale!